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Juventus, Chiellini: “Io dirigente? Vedremo…”

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 Juventus, Chiellini a Radio Bianconera: “Io dirigente? Onestamente non so. Starò qui negli Stati Uniti fino alla prossima estate. Ora capisco se giocando o no.”

Giorgio Chiellini, ex giocatore della Juventus e bandiera bianconera, è intervenuto oggi a Radio Bianconera rispondendo ad alcune domande sul suo passato recente e su quello che lo aspetterà nei prossimi mesi.

Ecco l’intervista integrale all’ex capitano Chiellini.

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Come va quest’anno?
“Bene, anche se abbiamo perso due finali. A fine mese iniziamo i playoff, siamo secondi a ovest e giocheremo l’ultima partita. Sono abbastanza fiducioso di poter far bene anche quest’anno. Abbiamo perso tanti punti giocando la Concacaf Champions League fino a giugno, la rosa qui è molto ridotta a causa del salary cup. Abbiamo giocato e viaggiato tantissimo, la trasferta più vicina è come andare in Russia. Anche qui, come in Italia, ci si lamenta per gli impegni ravvicinati”.

E’ meglio marcare Messi in America o in Champions League con il Barcellona?
“In America, decisamente. La squadra intorno è un po’ meno forte e hai qualche speranza in più. E’ vero che le ha vinte tutte, ma lui è straordinario”.

Hai visto che la Juve ti ha dedicato un post dopo il derby? Bremer è stato costretto a mettere il turbante in testa…
“L’ho visto. Le partite riesco a vederle quasi tutte perché qua sono in tarda mattinata e mi alleno prima. Sabato ero in ritiro e l’ho vista tutta. Bremer ha avuto l’evoluzione: turbante e cerotto. L’allievo ha superato il maestro. Sono contentissimo per lui, quello che dovevo fare l’ho fatto. A volte mi piacerebbe aiutarli un po’ di più: soprattutto i calciatori che stanno crescendo adesso”.

Chi tra Bremer e Gatti potrebbe avere un percorso simile al tuo?
“Credo che entrambi debbano fare la loro storia, sono difensori giovani e forti che stanno crescendo bene. Hanno tutte le potenzialità per essere grandi difensori della Juve. Il segreto è la costanza: continuare a migliorarsi. In loro vedo tante caratteristiche da giocatore forte. Quando giochi con gente più forte riesci ad alzare il livello. Lo scorso è stato il primo anno per entrambi, è stato un anno positivo perché venivano da realtà molto diverse con pressioni diverse. Giocare ogni tre giorni e non ogni settimana cambia tanto”.

Nel primo anno di Conte cosa pensavate dentro lo spogliatoio? Si pensava solo alla qualificazione in Champions o allo scudetto?
“Abbiamo cominciato a crederci durante la stagione, non all’inizio. Non abbiamo mai perso, ma pareggiato tanto e fatto fatica fino a febbraio. Poi le altre hanno deciso di lasciarci speranze, abbiamo trovato una quadra e cominciato a carburare. Essendo lì vicini e con più energia, abbiamo avuto la forza di non mollare mai. Giocavamo quasi sempre dopo gli altri e per un periodo giocavamo scontri diretti a -7 dal Milan. Lì una squadra meno forte mentalmente cede, invece siamo stati bravi a rimanere sul pezzo. Poi premiati nel weekend di Pasqua, quando in una settimana abbiamo recuperato e siamo passati davanti”.

Sei ottimista con questa squadra?
“Io sono più realista ed equilibrato. Non mi sono mai lasciato andare a voli pindarici né da giocatore né adesso: sono più per l’equilibrio e i piccoli passettini. Quest’anno l’Inter è la grande favorita per distacco, ma anche gli ultimi due campionati li ha persi nello stesso modo. La Juve deve fare quello che sta facendo finora: alla fine c’è stato un solo vero passo falso che è stato frutto della giornata storta. E’ un peccato e non dovrebbe mai succedere, ma se si guarda indietro nella storia succede. 17 punti in 8 partite non sono così male, poi si vedrà. Dopo la sosta ci sarà un scontro diretto con il Milan: noi prendemmo grande energia nella vittoria dello scontro diretto. Sarà un’annata dove tutte le squadre avranno alti e bassi. Mi è piaciuto perché ho rivisto un buono spirito e un’unione con i tifosi, che era la cosa principale da riprendere dopo le vicissitudini dell’anno scorso. E’ stata tosta per tutti. L’entusiasmo non va frenato, ma ci vuole il giusto equilibrio”.

La bolgia dei tifosi ti aiuta se hai un momento di difficoltà in campo?
“E’ anche un discorso di energie, fiducia e sicurezza. Siamo stati abituati ad avere una squadra forte e lo Stadium un fortino inespugnabile. Alla prima difficoltà, gli avversari non avevano la convinzione di fare punti. Purtroppo le cose sono cambiate. Se riusciamo a ricreare un’ambiente dove si crea un’energia superiore alzando anche il livello delle prestazioni è un valore aggiunto a livello di punti”.

Ora che sei lontano da Torino: le partite si vincono e non importa come? C’è il dibattito tra il giocar bene e il giocar male…
“Quello fa parte del gioco. Ci sono modi diversi e anche le persone lo sono: non c’è un unico modo per arrivare al risultato. Bisogna seguire la storia di un club: la Juve ha sempre avuto giocatori straordinari e penso che domani ce ne saranno tanti. I tifosi avranno la pelle d’oca. Solo a fare due palleggi saranno ancora straordinari. Ma la Juve ha sempre avuto l’anima di Torino, quella della famiglia e con la sua storia fatta di giocatori pratici e di cuore. Bisogna proseguire su questa strada, ognuno ha la propria. A livello di storia, nessuno può essere paragonato alla Juventus. In un mondo di fondi e sceicchi, la Juve ha una proprietà famigliare da cento anni: questo è il vero quid della Juventus e quello su cui costruire il futuro. I giocatori passano”.

E’ stato Conte a reinventarti difensore centrale nella difesa a tre?
“No. Conte mi ha insegnato a giocare con la palla tra i piedi. E’ stato il primo che mi ha chiesto di farlo con costanza, da lì mi si è aperto un nuovo mondo. Ho avuto un’evoluzione che miglioro ancora oggi, qui sono quasi più tecnico che marcatore. Le botte le do ugualmente, ma non ho più Bonucci accanto: prima gli passavo volentieri il pallone e mi dedicavo solo a una cosa. Nasco a tre da giovane, passo a quattro tra Deschamps e Ranieri e poi mi alterno tra tre e quattro. Mi piaceva più difendere a quattro e impostare a tre, ora siamo tutti più fluidi e si potrebbe cambiare di più. Difendere a quattro è più semplice nel 90% dei casi, impostare a tre ti dà più soluzioni”.

Ora non esistono più i ruoli nel calcio, ci sono le posizioni...
“Sopra i trent’anni troverei facilmente la posizione, ma poi rimango fermo lì”.

E’ vero che Conte non aveva provato la difesa a tre e ve l’ha fatta fare all’improvviso?
“E’ nata perché era difficile lasciarne fuori uno. Aveva provato a mettermi terzino sinistro, ma andavo sempre a marcare le ali avversarie e non era il massimo. In altre occasioni è capitata che la usavamo ed è diventata più fissa. Non c’era bisogno di provare granché, per caratteristiche eravamo perfetti perché entravamo a pennello dentro l’abito. Andavano trovati gli equilibri con il resto della squadra”.

Quale sarà il tuo ricordo indelebile della tua vita bianconera?
“Trieste è stata un’emozione forte arrivata dopo tanti anni di sofferenza. L’inizio e la fine anche. La fine ve la ricordate tutti, l’inizio sono state ore ad aspettare quella che era l’appuntamento con Giraudo, Moggi e Bettega. Moggi mi aveva dato appuntamento alle 9, ma è arrivato alle 13. Sono stato nella stanza dei trofei fino all’ora di pranzo, l’ho imparata a memoria”.

Potresti diventare un dirigente della Juventus?
“Onestamente non lo so. Di base, starò qui negli Stati Uniti fino alla prossima estate. Ora capisco se giocando o no. Ma insieme alla mia famiglia abbiamo deciso di rimanere qui fino alla prossima estate. Ho una casa a Torino che era pronta due anni fa quando sono andato via, quindi dovrei tornare a vivere a Torino. Poi si vedrà. Non mi sento di dire niente. A dicembre, salvo imprevisti, sarò allo Stadium a vedere Juve-Roma”.

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