Fino a un po’ di anni fa sembrava utopia che i calciatori statunitensi potessero diventare protagonisti nei maggiori campionati europei.
Quello che, per fare un esempio, la NBA è e era per i cestisti europei, i campionati del Vecchio Continente erano e sono per i giovani americani che praticano il Soccer, come viene chiamato il calcio nella patria di Abramo Lincoln.
Alexi Lalas, quando arrivò a Padova, proprio dopo i Mondiali americani nel 1994 nella nostra Serie A fu l’ apripista, ma sembrava la classica rondine che non fa primavera, invece molte società europee hanno iniziato a guardare agli States e ciò ha fatto aumentare il movimento.
Ora sono sempre di più i giovani americani che, al posto della pallina da baseball, del pallone da basket o della palla ovale da football, scelgono il pallone da calcio.
Intendiamoci, siamo ben lontani dal pensare che il calcio sia entrato nei cuori degli americani come gli sport nominati, ma comunque rispetto a anni fa vedere statunitensi a alti livelli ormai è normalità e anche la Nazionale a stelle e strisce sta ottenendo ottimi risultati.
Due di questi ragazzi che ce l’hanno fatta saranno avversari sabato allo Stadium: Wenston McKennie e Christian Pulisic.
In vista della loro sfida ESPN ha realizzato una video intervista congiunta.
Ne riportiamo i tratti salienti.
“La prima volta – comincia McKennie – che io e Christian ci siamo incontrati eravamo a Carson, in California, eravamo a un camp con 80 ragazzini in 4 bus che ci portavano dal campo all’hotel. Io per caso ero seduto dietro di lui e stavamo pensando a come festeggiare un gol, io lo spruzzavo con una bottiglietta. Siamo diventati amici così: io avevo paura di prendere l’ascensore e lui mi accompagnava su per le scale per 11 piani dopo l’allenamento… Oppure avevamo un pezzo di gomma da masticare che cercavamo di appiccicare su un albero, un giorno ci siamo riusciti e quando siamo tornati due mesi dopo era ancora lì, incredibile… Ci conosciamo da un bel po’ e siamo sempre rimasti in contatto, eravamo uniti. Non so come siamo riusciti sempre a giocare per due squadre avversarie. È stato un bellissimo percorso fino a qui e spero che continui, ma si dice che se sei amico da più di 10 anni sei amico per sempre e spero che sia davvero così“.
Il rossonero poi parla del Campionato Italiano e quanto sia stato importante per la sua crescita: “Penso di essere cresciuto molto qui, non saprei dire bene come. Sono sorpreso di quanto siano difficili molte partite in questo campionato, penso che sia stato un grande test per me, penso che dipenda molto da questo, anche solo per aver avuto l’opportunità di giocare qui. Ho avuto molte possibilità di mostrare quello che posso fare e mi è stato dato spesso un ruolo creativo e molta libertà di azione. Questo ha avuto un ruolo molto importante nel farmi ritrovare la mia autostima“.
Gli fa eco il nostro Wes: “Questo campionato mi ha permesso di crescere specialmente dal punto di vista tattico e nel senso della posizione. Prima, in Germania, ero il “tuttofare” e correvo davvero ovunque, cercavo di arrivare ad ogni palla e magari correvo 50 metri quando magari bastava che ne corressi 20 per arrivare allo stesso risultato. Quindi credo che l’Italia mi abbia aiutato molto in questo perché il campionato è molto tattico e anche molto difensivo e sono cresciuto molto misurandomi con le squadre di Serie A“
I due sono consapevoli che molti bambini e ragazzi americani che praticano il calcio lì hanno come modelli: “È bello – dice il fantasista rossonero – penso che quando sono arrivato in Germania non c’erano molti americani in nessun campionato, ma ce n’erano alcuni che ammiravo. Spero che i ragazzini a casa negli Stati Uniti ci vedano avere successo… siamo stati entrambi in Inghilterra, poi in Germania, ora in Italia e spero che ci guardino e che possano trarre ispirazione da noi, che vedano questi americani cosa possono fare ai livelli più alti e che vogliano fare lo stesso“.
McKennie ribadisce il concetto:
“Certo, anche io prima di andare in Germania ho visto Christian avere successo in Bundesliga, gli hanno dato delle opportunità e quindi visto quello ho sempre voluto tornare in Germania, perché avevo vissuto lì per un periodo crescendo quindi era come una seconda casa per me. Ma appunto vedere quello che succedeva a Christian mi ha aiutato ad aprire gli occhi, vederlo andare in Inghilterra e vedere me venire in Italia penso che non solo apra gli occhi ai bimbi a casa negli Usa ma anche alle squadre nel campionato, perché se vieni qui e hai successo magari ti dicono “ok, perché non proviamo a prendere un altro, altri due, altri tre…” Come hai detto, in Italia non ci sono molti americani e quando sono arrivato ero uno dei pochi, poi sono arrivati anche Musah, Tim Weah, Tanner Tessman e stanno facendo bene qui aprendo così la strada a molti altri. Quindi penso che serva molto avere successo in un campionato perché aiuta a portare l’attenzione su quel campionato e le proprie squadre“.
I due poi concordano che la difficoltà più grande per uno straniero che viene in Italia sia la lingua:
“Decisamente la parte più difficile, se non la parli affatto” dice Pulisic.
E il bianconero conferma:
“Per me anche, non avevo proprio un traduttore e quindi quando partecipavo alle riunioni tecniche mi guardavo intorno cercando di capire cosa stesse succedendo. Ma ora non è più così…”.
Beh, siamo certi che sabato mattina (visto il fuso orario) negli States non saranno solo i tifosi delle due squadre a sintonizzarsi sulla partita dello Stadium, ma tanti ragazzini che giocano a calcio, sognando un giorno di essere anche loro su quel campo, come quei due amici che si conobbero su un bus.
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