È stata riaperta stamattina alle 7 e lo rimarrà fino alle 22 la camera ardente allestita nella Sala Stampa dello Stadio Barbera di Palermo per permettere a chi vorrà di rendere omaggio a Totò Schillaci.
Già da ieri ci sono state centinaia di persone in fila per salutare il bomber palermitano.
Tante personalità del calcio, delle istituzioni ma soprattutto tanta gente comune, composta e commossa.
Pure persone che non seguono assiduamente il calcio si sono recate a salutarlo.
“Ci vergognavamo quasi a quei tempi a dire che eravamo di Palermo, lui ci ha dato un’ occasione di riscatto…. Era uno di noi, che si è fatto da solo…. Nonostante la fama è rimasto un ragazzo del CEP….“
Sono solo alcune delle frasi che molti semplici cittadini hanno rilasciato ai microfoni mentre erano in fila per porgere un saluto a Totò.
E crediamo che nella giornata di oggi ci sarà ancora una coda interminabile.
Probabilmente chi non ha vissuto quegli anni, soprattutto quell’ estate del 1990, può rimanere stupito nel vedere tanta commozione e tanto affetto.
In fondo parliamo di un giocatore che era sì forte, ma non una stella di prima grandezza (fermo restando che nel calcio di oggi sarebbe un top player, opinione personale).
A alto livello è stato due, tre anni con l’ apice in quel 1990 poi, complici gli infortuni e le vicende extra campo con la separazione burrascosa dalla prima moglie, lo hanno relegato ai margini fino a costringerlo a emigrare in Giappone dove ancora è ricordato come un semidio, come testimonia il saluto sui propri social della sua squadra nel paese del Sol Levante, il Jubilo Iwata.
Quell’ annata per noi juventini e quell’ estate per gli italiani fu speciale.
Arrivato alla Juve dalla gavetta si fece subito amare per la sua semplicità e per la sua scaltrezza in campo e, anche grazie ai suoi gol, i bianconeri vinsero la Coppa Italia e la Coppa UEFA, dopo anni di digiuno di trofei.
Nei sedici metri era micidiale, univa l’ opportunismo di Paolo Rossi con però un tiro potente e preciso e, nonostante l’ altezza non lo aiutasse, era abile anche di testa perché era bravo a intuire dove arrivava il cross e a staccare in tempo anticipando gli avversari, vedi il gol con l’ Austria nella gara d’ esordio degli azzurri in quel Mondiale, dove Vialli indirizzò un cross in area e lui, entrato appena quattro minuti prima, fu scaltro a infilarsi fra gli alti difensori austriaci e a insaccare.
Aveva poi senso della porta, qualità che è innata e non la insegni.
Soprattutto però le persone videro uno di loro: era di umili origini, non aveva un fisico proprio da atleta e era una persona semplicissima, ma ce l’ aveva fatta.
Sembrava dirti: “Ce l’ ho fatta io, se ci credete ce la potete fare anche voi!”.
Poi parliamoci chiaro, per chi c’ era quel Mondiale fu veramente speciale, senza nulla togliere agli eroi del 1982 e ai ragazzi del 2006.
Era in casa nostra, lo vivevamo nelle città con le invasioni dei tifosi delle varie nazionali, e il fatto che un ragazzotto comune del sud rendesse quelle notti, appunto, magiche ci riempiva di orgoglio.
Insomma, con Totò Schillaci non si esagera a dire che se ne è andato un pezzo di noi che quel periodo lo abbiamo vissuto.
Ora ce lo immaginiamo lassù, con Vialli che gli rimette quel cross e con a bordo campo Vicini, il CT che lo chiamò a furor di popolo dopo la strepitosa stagione di esordio in Serie A con la maglia bianconera.
Ma su quel campo ci sono anche Pablito e Diego Maradona, che dimostrò la sua ammirazione per Schillaci la prima volta che si affrontarono in Juventus-Napoli nel 1989/90 come racconta lo stesso Totò nella sua autobiografia “Il gol è tutto”, uscita nel 2016:
“Io, che fino a poco tempo fa stavo appiccicato alla televisione ad ammirarlo. L’emozione più forte, però, arriva dopo la partita, rientrando negli spogliatoi, ed è un’emozione che in qualche modo dà senso a tutto quello che sto vivendo. ‘Totò!’, sento chiamare con accento sudamericano. Mi giro e me lo trovo davanti, che mi porge la maglia, la sua 10, e chiede la mia. È un istante: incrocio i suoi occhi, mi vedo in una sorta di specchio. E mi rendo conto che, se mi ha scelto, è perché è come se avesse annusato l’aria, se avesse sentito il suo stesso odore. Quello dei quartieri popolari e dei campetti in terra battuta, della povertà e della fatica, che ci porteremo dietro per tutta la vita“.
Ma se Diego aveva dalla sua un talento inarrivabile Totò no, forse per quello l’ argentino ne era ancora più ammirato e tirò ancora di più un sospiro di sollievo dopo i rigori di quella semifinale a Napoli, raggiunti per un errore di valutazione di Zenga sull’ uscita, per averla scampata contro quel piccolo centravanti che aveva portato gli azzurri in vantaggio.
Domani alle 11,30, quando nella Cattedrale di Palermo avranno luogo i funerali sono attese migliaia di persone fra cui tanti campioni di quell’ epoca, ci saremo con lo spirito anche noi, accompagnando per l’ ultimo viaggio colui che, tramite i suoi occhi sgranati, nel 1990 ci dimostrò che si poteva guardare verso l’ infinito.
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