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Motta tra idea e nervosismo. Su Giuntoli…

Il tecnico bianconero è a un bivio

Spesso nel calcio si è detto che certe maglie pesano: “Un conto è giocare nella Juventus, un conto da altre parti”.

Quante volte lo avete sentito dire? La Juve in Italia, insieme a poche altre squadre, rappresenta il sogno per ogni bambino quando inizia a giocare a calcio, un privilegio di pochi, e pochi però riescono a reggerne il peso.

Ovviamente questo vale anche per gli allenatori: se ci arrivi dopo aver fatto bene in squadre di seconda fascia ti cambia il mondo.

Sai che ti giochi l’ opportunità della vita: o diventi un grande o rischi di finire nell’ oblio, a maggior ragione se ci arrivi dopo anni in cui i bianconeri hanno stentato.

Qui la gente è abituata a vincere o quanto meno a lottare per farlo, non si accontenta del minimo sindacale, se la riporti a alto livello bene, altrimenti rischi di finire nell’ occhio del ciclone.

Thiago Motta questo lo sa benissimo e sa di giocarsi molto.

I precedenti

Trapattoni, Conte e Lippi sono gli esempi di coloro che ce la hanno fatta: giunti a Torino in Juventus da ricostruire, hanno vinto subito e sono rimasti nella storia, avendo carriere di successo.

Ne sono stati travolti invece altri, tipo Marchesi, Del Neri e Maifredi, che hanno fallito pur per motivi e in contesti diversi.

Thiago Motta queste storie le conosce benissimo e ovviamente vuole fare parte dei primi.

Le grandi aspettative

La piazza veniva da un triennio (ma personalmente aggiungerei anche i due anni di Sarri e Pirlo) difficile.

Abituati a quasi un decennio di successi è stata dura vedere vincere gli altri ma soprattutto non vedere negli ultimi quattro anni la Juve praticamente mai in lotta per lo scudetto (tranne il girone di andata dello scorso anno) e vivere un anno come quello di Sarri dove, pur vincendo il tricolore, era stata fatta molta fatica.

A ciò si erano aggiunte, soprattutto nel triennio dell’ Allegri bis, diverse prestazioni rivedibili con una squadra che subiva anche compagini sulla carta molto meno attrezzate.

Erano riposte quindi molte aspettative in Thiago Motta, che fin dal primo giorno è stato accolto bene con il popolo bianconero che gli ha perdonato anche il fatto di essere stato uno degli eroi del Triplete interista da giocatore, fatto che al tifoso normale pare scontato ma per quelli più estremisti non lo è.

Dalla luna di miele alle prime crepe

L’ inizio era stato incoraggiante e ciò è stato un boomerang: la Juventus è una squadra in ricostruzione, piena di molti giovani (la seconda come età media in A dopo il Parma) alla prima esperienza in un top club, era lecito aspettarsi alti e bassi.

Vedere la Juve vincere 3-0 le prime due partite di campionato e fare sei punti in Champions League le prime due giornate con l’ eroica gara di Lipsia ha probabilmente illuso qualcuno che la rinascita fosse avvenuta, quindi poi vedere tanti pareggi spesso creando poco o nulla è stato ancora più frustrante.

Un po’ come un matrimonio in cui i protagonisti, finita la luna di miele, si scontrano con la quotidianità che, come sappiamo, non è tutta rose e fiori.

Insomma, l’ idilio iniziale è ormai finito e Motta è consapevole pure di questo.

Le attenuanti

Chiaramente quando si fanno dei giudizi, anche parziali, va soppesato tutto.

Quindi sarebbe ingiusto negare che i numerosi infortuni hanno influito tantissimo, e uno in particolare a nostro modo di vedere è stato un macigno per i piani del tecnico italo brasiliano, quello di Gleison Bremer.

L’ infortunio di Bremer un macigno pesantissimo ( FOTO DI SALVATORE FORNELLI )

Il primo cambio radicale che Thiago Motta ha portato è la difesa a quattro.

Chiunque capisca di calcio sa che difendere a tre o a quattro non è solo una questione di uno in più o in meno, cambia dal giorno alla notte.

Il tecnico bianconero aveva lavorato tanto su questo aspetto e non perché sia un difensivista, ma perché sa bene che la fase offensiva parte da quella difensiva, dalla riconquista del pallone e dal concedere poco all’ avversario non dandogli modo di esaltarsi.

Per farlo aveva bisogno di un leader e aveva individuato nel centrale brasiliano questa figura.

Bremer, che in carriera aveva difeso sempre a tre, si è messo a disposizione e i risultati erano sotto gli occhi di tutti: fino a quel maledetto infortunio il Perin o Di Gregorio di turno era spettatore non pagante con un reparto davanti dove il brasiliano era arrivato a livelli altissimi (non si esagera se si dice fra i primi cinque difensori al mondo) e dava sicurezza a tutti i compagni.

Insomma, la parte più difficile era fatta e Motta pensava di potersi concentrare sulle altre, primo fra tutti l’ inserimento di Koopmeiners, recuperare Douglas Luiz trovare il modo di innescare Vlahovic.

Ma anche lì ci si sono messi gli infortuni di Koop, dello stesso Luiz e di Nico Gonzalez.

E aver perso anche l’ unica certezza trovata ha reso tutto maledettamente più difficile.

Le colpe

Non ci si può esimere però, tenuto conto di quanto scritto sopra, dall’ evidenziare alcuni aspetti che non convincono dei primi mesi di gestione Motta.

Quello che salta più agli occhi è sembrare schiavo dell’ idea.

La Juventus è stata impostata dal tecnico italo brasiliano con il 4-2-3-1, e praticamente è sempre stato questo il canovaccio, a prescindere dagli interpreti a disposizione.

I giocatori sembrano ingabbiati, obbligati a eseguire un compito mettendo da parte l’ estro e ciò in ogni partita, a prescindere da chi hanno davanti, dal momento e dalle situazioni e ciò rende la Juventus prevedibile.

Per non andare troppo lontano ieri Italiano ha impostato la partita come la impostò lo Stoccarda, che allo Stadium dominò in lungo e in largo, e i bianconeri sono stati in balia del Bologna per 2/3 di gara.

Quando sotto 2-0 non c’ era nulla da perdere e sono state fatte mosse della disperazione passando a un 4-1-4-1 la Juve, pur non creando chissà che occasioni, ha comunque chiuso i felsinei e potenziali opportunità sono arrivate, con Koopmeiners che è stato più partecipe in zona gol, segnando pure, con Yildiz che, meno sacrificato di quando gioca sulla fascia, ha potuto creare scompiglio e con un Vlahovic che, pur pasticcione, è parso più vivo e meno abulico.

Non ci ha convinto nemmeno la scelta iniziale di rinunciare a un dinamico come Thuram per affiancare Fagioli a Locatelli, a nostro avviso suicida contro una squadra che ti pressava uomo su uomo fin dalla tua area.

Entrato il francese e cambiato modulo le cose sono migliorate, non può essere un caso.

Attenzione, non diciamo che bisogna giocare sempre in quel modo, semplicemente vogliamo rimarcare che bisogna adattarsi ai momenti, alle situazioni e agli avversari e non insistere per forza su un’ idea, che tra l’altro dà l’ impressione di limitare alcuni elementi e non sfruttarli al meglio per le proprie caratteristiche.

Il nervosismo

Thiago Motta ieri è sembrato particolarmente nervoso.

Proteste continue nei confronti del Direttore di Gara, in parte anche giustificate sia chiaro, che hanno portato dopo numerosi richiami a una giusta espulsione.

Ciò a nostro avviso riporta a quanto detto sopra: la consapevolezza di giocarsi tanto che mette una pressione non indifferente.

Ma se vuole diventare un tecnico di livello Motta deve lavorare anche su questo, saper reggere le pressioni è la prima cosa per un grande tecnico di una grande squadra, perché di esempio ai giocatori e perché dimostra loro di saper tenere la situazione in pugno.

Se lui per primo perde la testa come si può pretendere che non succeda a chi è in campo?

Similitudini con Giuntoli

Un altro che è nell’ occhio del ciclone è, inutile dirlo, Cristiano Giuntoli.

Stanno serpeggiando molti dubbi sul suo mercato, dubbi che per onestà intellettuale quasi nessuno aveva mosso prima, anzi.

Douglas Luiz per molti simbolo di un mercato discutibile (foto Juventus.com)

Onestamente l’ unico errore palese che ci sentiamo di imputargli è non aver preso una punta, fidando sul solo Milik come alternativa di cui, al di là dell’ infortunio attuale, sappiamo bene la situazione fisica.

Per il resto la maggioranza discuteva più dei soldi che erano costati certi giocatori, non mettendone però in dubbio le capacità.

A nostro modo di vedere per Giuntoli vale il discorso fatto per Motta, si sta giocando tanto.

È lo step finale per essere considerato un dirigente top e ne è consapevole.

Per di più aggiungeteci che lui è juventino fino al midollo e chi scrive può testimoniarlo anche senza averlo letto sui giornali, perché abita a una ventina di km dal suo paese e lo ha conosciuto tanti anni fa sapete dove? Su un pullman di uno Juventus Club diretto a Torino.

Insomma, ha coronato il sogno di una vita da quando ha iniziato a fare il dirigente, lavorare per la società che è nel suo cuore e quindi sente ancora una responsabilità maggiore.

Quando cambi tanti giocatori è difficilissimo azzeccarli tutti, pure Luciano Moggi portò gli Esnaider, i Blanchard, gli Oliseh per fare alcuni nomi.

Inoltre a nostro avviso ne esiste una di attenuante grossa come un macigno e che c’era anche gli anni scorsi e si chiama società.

Una società che esiste?

Nel caos degli ultimi anni, anche per vicende discutibili, usiamo un eufemismo, extra campo abbiamo visto Allegri fare da parafulmine di ogni cosa.

Esisteva una società di contabili, mancante delle figure di campo necessarie.

Ora è stata messa una di queste figure, Cristiano Giuntoli appunto, ma non può bastare.

Pensate alle “vecchie” Juventus: c’ erano più figure e ognuna aveva un compito preciso, non mancava mai il raccordo fra tecnico, squadra, società e proprietà.

Ora abbiamo una proprietà che non sembra avere il trasporto necessario (al tifoso non basta che metti i soldi devi fare vedere che ci sei) e manca quella figura di raccordo fra società e squadra che non può fare il solo Giuntoli.

La prima cosa da sistemare è questa, poi il resto è conseguenza e di dimostrazioni ne abbiamo a iosa.

La Juventus deve tornare dove le compete ma le case si costruiscono dalle fondamenta e qui se ne è messa una ma non basta.

Elkann o chi per lui lavori su questo aspetto, il popolo bianconero che anche ieri ha riempito lo Stadium lo chiede a gran voce.

Elkann deve aggiungere altre figure di campo in società.

Solo così si potrà guardare con fiducia al futuro e tornare a alto livello.

Leonardo Sensi

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