Sono passati tanti anni, ma sembra ieri.
Il 25 Aprile di 29 anni fa ci lasciò un ragazzo d’oro, che la dea bendata aveva baciato dal talento ma poi gli fece pagare un conto salatissimo: Andrea Fortunato.
Nasce a Salerno il 26 luglio 1971 e intraprende presto la strada dello sport, seguendo in piscina il fratello.
Il calcio lo pratica in estate, sulle strade.
Quell’ asfalto dove una volta si vedevano tanti ragazzini giocare e dove spesso gli osservatori si recavano scoprendo talenti.
Così capitò a Andrea: Alberto Massa, tecnico e talent scout, lo vede e lo porta nella Giovane Salerno, squadra dilettantistica da cui parte per fare provini ovunque: Torino, Cesena, Empoli, Napoli e Como.
E proprio il Como, nella figura di Sandro Vitali, lo ingaggia a nemmeno 14 anni con l’idea di farne un grande centravanti.
Ma il tecnico degli Allievi, Giorgio Rustignoli, lo trasforma dapprima in centrocampista di sinistra, poi in difensore, sempre sulla fascia mancina.
Andrea segue tutta la trafila nelle giovanili e debutta in prima squadra, in Serie B, il 22 ottobre del 1989, a Pescara. A fine stagione colleziona sedici presenze nella serie cadetta.
Diventa presto una colonna del Como di Bersellini, ed è un protagonista assoluto nel campionato ‘90-91, in C1, con la squadra lariana che manca la promozione, perdendo lo spareggio contro il Venezia.
Roberto Boninsegna, selezionatore dell’Under 21, lo convoca immediatamente e tutta la Serie A si accorge di lui.
Per quattro miliardi Aldo Spinelli lo porta al Genoa, ma davanti c’è Branco come terzino sinistro.
A Novembre un litigio con Maddè, il braccio destro di Bagnoli, costa al ragazzo di Salerno la cessione in prestito a Pisa. “Io non so se Bagnoli non credesse in me – confida un giorno Andrea – ma forse ho pagato quella nomea di arrogante, di testa calda, che qualcuno ha costruito su di me. Comunque devono mangiare sassi prima di scalzarmi”.
Ma Andrea non si dà per vinto, sa risalire la corrente e al suo rientro trova Giorgi che crede in lui mettendo Branco a sedere fra lo scetticismo generale.
Campionato eccellente, questo del debutto in Serie A, con 33 presenze e 3 gol, l’ultimo segnato al Milan.
Lui e il collega di reparto Panucci sono al centro dei desideri delle big. Spinelli inizialmente voleva privarsi del solo Panucci (che nel frattempo aveva scelto di puntare sul Milan) ma Andrea sa della Juve e per lui, tifoso bianconero dalla nascita, sarebbe la realizzazione di un sogno. Spinelli gli fa una promessa: “Andrea, aiutami a salvare la squadra e ti lascerò andare”
Quando ormai la trattativa è iniziata, lui dichiara a chiare lettere la sua volontà: “Arriva un giornalista e mi domanda se mi piacerebbe giocare nella Juventus. Ed io cosa dovrei rispondergli, che mi fa schifo? Figuriamoci, io da ragazzino per i colori bianconeri stravedevo, e anche se sono diventato un calciatore professionista, certi amori ti restano nel cuore“.
Nell’estate del 1993 firma il contratto che lo lega al sodalizio bianconero e, per tutti gli addetti ai lavori, Andrea è destinato a diventare il miglior terzino sinistro italiano.
A Torino subito pensano a un nuovo Antonio Cabrini, ma lui resta umile: “Mi fa arrabbiare questo paragone con Cabrini, lui è stato il più forte terzino del mondo, vi sembra una cosa logica? A me no; prima di raggiungere i suoi livelli, se mai ci riuscirò, ci vorrà tanto tempo”.
La sua avventura a corte della Vecchia Signora incomincia nel migliore dei modi: precampionato ad altissimo livello, debutto in Nazionale a Tallinn, il 22 settembre contro l’Estonia. “Prometto sempre il massimo dell’impegno per la maglia. Darò sempre tutto me stesso e alla fine uscirò dal campo a testa alta, per non essermi risparmiato”
Nella primavera del 1994 le sue prestazioni non sono però più all’ altezza. La critica lo stronca e la tifoseria pure, si pensa che sia appagato: ha raggiunto la fama e il successo in poco tempo, è arrivato alla Juventus, il massimo per ogni giocatore, “si è montato la testa” dicono.
Allo stadio ogni partita Andrea è accolto da fischi, da cori di scherno. Un giorno, alla fine di un allenamento, un “tifoso” lo aggredisce anche fisicamente.
Qualcosa non quadra e si sottopone a degli esami anche per capire i motivi della febbre persistente che si insinua nel suo organismo, provocandogli un continuo senso di spossatezza.
Il 20 maggio del 1994 Andrea è ricoverato in isolamento, presso la Divisione Universitaria di Ematologia delle Molinette di Torino e la diagnosi è crudele: leucemia acuta linfoide!
«Può farcela – dicono i medici – Andrea è giovane, la sua tempra robusta lo aiuterà”
Ma tutti sanno bene che solo un trapianto con un donatore compatibile potrà restituirgli la vita.
Tre settimane di terapia intensiva. Un netto miglioramento, valori verso la normalità. L’organismo combatte, i globuli bianchi in eccesso spariscono, tecnicamente si parla di remissione completa della malattia.
Lui vuole farcela
Andrea esce dall’ospedale, addirittura va a Genova, in occasione di Samp-Juve giocata il 26 febbraio del 1995. È emozionante vederlo sulle tribune dello stadio Marassi, felice come un bambino, a tifare per la sua amata Juventus.
Quando tutti cominciano a pensare che stia vincendo la sua battaglia, arriva un’ influenza fatale, date le difese immunitarie praticamente nulle.
Il 25 aprile, alle otto di sera, Andrea muore.
Poche settimane dopo la Juventus festeggia il suo 23° scudetto; 23 come gli anni di Andrea.
Grande fu la partecipazione ai funerali, con la Juventus ovviamente al gran completo e con il capitano Gianluca Vialli che lo omaggiò così: “Speriamo che in Paradiso ci sia una squadra di calcio, così che tu possa continuare a essere felice correndo dietro a un pallone. Onore a te, fratello Andrea Fortunato”.
Queste parole fanno ancora più venire un groppo al cuore a pensare che tanti anni dopo pure lui sarebbe stato vinto da un male incurabile.
Ora su quel campo in Paradiso sicuramente giocano insieme…
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